I sensori ultispettrali rappresentano un’innovazione cruciale per l’archeologia poiché permettono di analizzare il suolo in maniera indiretta attraverso lo studio della vegetazione che lo ricopre. In pratica, un sensore multispettrale registra la riflettanza elettromagnetica, ovvero la quantità di energia riflessa da un oggetto sulla superficie terrestre, nelle diverse bande dello spettro elettromagnetico. Generalmente i sensori multispettrali catturano cinque immagini distinte, corrispondenti a diverse bande: rosso (R), verde (G), blu (B), Red-Edge e vicino infrarosso (NIR). La combinazione di queste immagini multibanda fornisce informazioni fondamentali sullo stato di salute della vegetazione.
Le piante riflettono la luce in modo diverso a seconda delle loro condizioni fisiologiche. Una pianta sana rifletterà maggiormente l’energia nell’infrarosso (in particolare nel NIR e MIR), mentre una pianta stressata o meno rigogliosa rifletterà meno in questa banda, assorbendo di più nella banda del rosso. L’utilizzo di droni dotati di sensori multispettrali permette di raccogliere dati su queste riflettanze in maniera non invasiva, senza la necessità di effettuare scavi. Le differenze nella vegetazione possono indicare la presenza di strutture sepolte: ad esempio, un muro o una strada possono inibire la crescita delle radici, provocando stress nella vegetazione, mentre un fossato, che trattiene più acqua, può favorire la crescita di piante più rigogliose (fig.1).
Fig.1: ricostruzione del differente stato di salute delle piante che insistono su diversi elementi archeologici.
Questa metodologia trova le sue origini negli anni ’70, quando John Hampton, direttore della Air Photographs Unit della Royal Commission on the Historic Monuments of England, condusse esperimenti con pellicole fotografiche a infrarossi per identificare tracce archeologiche (Verhoeven, 2012). Durante gli anni ‘80, con l’introduzione dei primi satelliti civili per il telerilevamento, l’interesse per le immagini multispettrali aumentò, sebbene la risoluzione dei primi satelliti fosse limitata. Negli anni ’90, con l’aumento della risoluzione delle immagini e il miglioramento delle tecnologie, i ricercatori come Sever iniziarono a usare indici di vegetazione per elaborare immagini multispettrali con finalità archeologiche. In particolare, Sever condusse uno studio sulla viabilità preistorica nella regione del Chaco Canyon, utilizzando gli indici per identificare i percorsi antichi (Sever, Wagner, 1991).
La rivoluzione dei droni e la miniaturizzazione dei sensori
Con il continuo progresso tecnologico, i sensori multispettrali sono stati miniaturizzati al punto da poter essere montati su droni, aprendo nuove possibilità per la ricerca archeologica. Il vantaggio principale dei droni risiede nella loro capacità di volare a quote basse, permettendo di ottenere immagini con risoluzioni estremamente dettagliate. Questo ha reso possibile l’uso di sensori multispettrali su vaste aree di terreno a un costo contenuto, migliorando l’efficacia delle indagini rispetto ai satelliti o agli aerei. La velocità con cui possono essere condotte queste indagini rappresenta un ulteriore vantaggio: un drone può coprire diverse decine di ettari in poche ore, mentre l’analisi dei dati può avvenire quasi in tempo reale grazie all’uso di software dedicati.
L’impiego di droni ha trasformato profondamente la modalità di conduzione della ricerca archeologica. Le immagini multispettrali raccolte possono essere elaborate utilizzando indici di vegetazione (Vegetation Indices, VIs), che rappresentano formule matematiche sviluppate per misurare le caratteristiche fisiologiche della vegetazione sulla base della sua riflettanza spettrale. Gli indici permettono di rilevare differenze impercettibili all’occhio umano e di individuare anomalie nel terreno che possono essere legate alla presenza di strutture sotterranee (fig.2).
Fig.2: differenza di anomalie osservabili tramite sensore che scatta nel visibile (sinistra) e sensore multispettrale, tramite indici NDVI (destra).
Gli indici di vegetazione in archeologia
Nel campo dell’archeologia, l’uso degli indici di vegetazione è fondamentale per la comprensione delle differenze fisiologiche della vegetazione legate alla presenza di elementi archeologici. Tra gli indici più comuni utilizzati, il documento discute in dettaglio alcuni dei principali:
•NDVI (Normalized Difference Vegetation Index): uno degli indici più utilizzati, mette in relazione la riflettanza nella banda del rosso e nel vicino infrarosso. Piante più sane riflettono maggiormente nella banda NIR e assorbono nella banda del rosso. Questo indice è utile per identificare aree di vegetazione stressata, ma in alcuni casi può non essere il più adatto per le indagini archeologiche.
•GNDVI (Green Normalized Difference Vegetation Index): simile all’NDVI, ma più sensibile alla concentrazione di clorofilla, risultando quindi più efficace nelle fasi fenologiche avanzate delle coltivazioni.
•EVI (Enhanced Vegetation Index): ottimizza la riflettanza nelle aree con elevata biomassa, riducendo il rumore di fondo atmosferico. È particolarmente utile per le aree con abbondante vegetazione.
•NDRE (Normalized Difference Red Edge): opera nella banda del Red-Edge, che è sensibile ai cambiamenti nella clorofilla. È utile per monitorare lo stato di salute delle piante e identificare le differenze causate da elementi sotterranei.
•TCARI/OSAVI: combina l’indice TCARI, che misura l’assorbimento della clorofilla, con l’OSAVI, che riduce l’influenza del suolo. Questa combinazione è particolarmente utile per rilevare stress nutrizionali e la clorosi nelle piante, spesso causata dalla presenza di strutture sotterranee.
L’uso di questi indici, combinato con i dati multispettrali raccolti dai droni, consente di individuare anomalie che potrebbero indicare la presenza di elementi archeologici. La scelta dell’indice dipende molto dal tipo di vegetazione e dal periodo dell’anno in cui viene condotta l’indagine (fig.3). Ad esempio, i sensori multispettrali posono rivelarsi particolarmente efficaci in determinati momenti del ciclo fenologico della vegetazione, come la fase di crescita o di maturazione.
Fig.3: Particolare dell’anomalia relativa ad un edificio romano in opera reticolata. Da sinistra verso destra, indice vegetativo NDVI nei mesi di ottobre 2020, maggio 2021 e giugno 2021.
Durante il prgetto di ricerca Flying off-site, nel sito di Veio, una delle aree test, i risultati dei voli con droni multispettrali sono stati confrontati con le immagini aeree scattate nel corso di decenni e con i dati delle prospezioni magnetometriche. Il drone multispettrale si è dimostrato efficace nel rilevare una vasta gamma di tracce viarie e strutturali che erano già state individuate attraverso altre tecniche. Tuttavia, in alcuni casi, le immagini multispettrali hanno rivelato anomalie che non erano state identificate né dalla fotografia aerea né dalle prospezioni geofisiche, suggerendo che la tecnologia multispettrale può offrire un valore aggiunto in archeologia (Ciccone, in press).
Il futuro dell’archeologia da drone multispettrale appare dunque molto promettente. Con il miglioramento delle tecnologie dei sensori e l’integrazione di software di elaborazione dati sempre più sofisticati, si prevede che queste tecniche possano essere utilizzate su scala sempre più ampia. Inoltre, l’uso combinato di sensori multispettrali, termici e altre tecniche non invasive, come il LIDAR, potrebbe portare a una comprensione ancora più approfondita del paesaggio archeologico.
Bibliografia essenziale:
Abate, N., Frisetti, A., Marazzi, F., Masini, N., and Lasaponara, R. 2021. Multitemporal–Multispectral UAS Surveys for Archaeological Research: The Case Study of San Vincenzo Al Volturno (Molise, Italy). Remote Sensing, 13: 2719.
Agudo, P.U., Pajas, J.A., Pérez-Cabello, F., Redón, J.V., Lebrón, B.E., 2018, The Potential of Drones and Sensors to Enhance Detection of Archaeological Cropmarks: A Comparative Study Between Multi-Spectral and Thermal Imagery. Drones 2018, 2, 29
Ciccone, G., in press, Un’indagine di archeologia aerea a bassa quota sul pianoro di Veio. Un anno di voli con drone multispettrale. Atti del III Convegno di Archeologia Aerea, Le Città invisibili. Remote e Proximal Sensing in Archeologia: Metodologie non invasive per lo studio della città antica. 19-22 Maggio, Lecce.
Fiorini L., Materazzi F., 2017, Un Iseion a Gravisca? Fotogrammetria, telerilevamento multispettrale da APR e dati archeologici per una possibile identificazione. FOLD&R FastiOnLine documents & research (396). pp. 1-23. ISSN 1828-3179
Materazzi, F., and Pacifici, M. 2022. Archaeological crop marks detection through drone multispectral remote sensing and vegetation indices: A new approach tested on the Italian pre-Roman city of Veii. Journal of Archaeological Science: Reports 41.
Sever T.L., Wagner D.W., Analysis of prehistoric roadways in Chaco Canyon using remotely sensed digital data, in Trombold, C.D.,(a cura di), Ancient Road Networks and Settlement Hierarchies in the New World, Cambridge University Press: Cambridge, UK, 1991; 42–52.